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A tu per tu con Marzia Terragni

Per gli amici di Ultima Parola abbiamo avuto il piacere di intervistare Marzia Terragni, psicologa sportiva che, con passione e dedizione, aiuta in modo costante giovani atleti, che vogliono sfruttare appieno le proprie potenzialità.

Marzia quanto è importante nei giovani avere una persona che segua il loro percorso a livello psicologico oltre che quello fisico?

Ritengo che sia fondamentale, soprattutto se l’ambizione è quella di proiettarsi tra i professionisti. Anche gli atleti adulti beneficiano sempre di un lavoro mentale che ne migliora la performance, ma nei ragazzi, la cui personalità non è ancora pienamente strutturata, essere affiancati da un “professionista della psiche” può veramente fare la differenza.

Basta pensare a quante sfide evolutive deve affrontare normalmente un qualsiasi adolescente: costruire la propria identità, iniziare a rendersi indipendente dalla propria famiglia, trovare la giusta collocazione nel gruppo dei pari, affrontare i cambiamenti fisici e ormonali che lo rendono irriconoscibili da un giorno all’altro, sperimentarsi all’interno delle prime relazioni affettive… Un (aspirante) calciatore non è immune da tutti questi passaggi obbligatori per crescere, mentre parallelamente ci si aspetta da lui (e lui stesso pretende da sé) un impegno quasi totalizzante, una capacità di concentrazione, di responsabilità, una determinazione di cui spesso neanche gli adulti sono capaci. Se vuoi diventare un professionista, pertanto, oltre al talento tecnico, non puoi non prenderti cura ed “allenare” il potenziale psichico, lavorando sull’autostima, sulla capacità di gestire ansia, stress e di fissarsi degli obiettivi chiari da perseguire…

Marzia TerragniMolti ragazzi, già in giovane età, rispetto alla generazione passata sono molto sovrappeso. Si lavora molto anche sull’alimentazione?

Assolutamente. Lo si dovrebbe fare a prescindere dalle ambizioni sportive. Curare l’alimentazione è uno dei passi fondamentali per imparare a prendersi cura di se stessi.

Un calciatore in particolare non può minimizzare l’importanza di questo aspetto. Intanto perché riuscire a rispettare alcune regole di base nella scelta del cibo, significa riuscire a mantenere una disciplina nel proprio modo di vivere. Può non essere facile, soprattutto per dei ragazzi, rifiutare gli inviti degli amici ad uscire il sabato sera perché la domenica bisogna essere in forma. Occorre avere disciplina, una forte determinazione e responsabilità. Lo stesso vale nel mantenere un’alimentazione adeguata, che non significa solo ridurre drasticamente l’accesso ai fast food, ma conoscere le regole per avere a disposizione il giusto apporto calorico, regolandosi in base all’orario delle partite o degli allenamenti.

Qual è il primo messaggio che le arriva dopo aver parlato con loro?

All’inizio della mia conoscenza con un calciatore individualmente o con una squadra, somministro dei test che mi permettono di effettuare un primo inquadramento rispetto ai punti di forza e ai limiti di ciascuno. Quando restituisco l’analisi e condivido le mie riflessioni, la cosa che più frequentemente mi sento dire è “Ma come ha fatto a capirlo?” e da qui si costruisce buona parte della relazione di fiducia, laddove inizialmente so esserci una certa dose di scetticismo e perplessità. È difficile per degli adulti, figuriamoci per dei ragazzi, comprendere e credere che una psicologa (donna peraltro!) possa essere di aiuto rispetto alla loro carriera sportiva. Il sentirsi però, e in breve tempo, ascoltati e capiti profondamente, determina spesso un’inversione del punto di vista, cosa che consente di ottenere perlomeno il beneficio del dubbio. Il resto lo fanno i risultati, quelli a breve termine, nel senso del sentirsi meglio alla fine di ogni incontro, e quelli a medio-lungo termine, nello sperimentare l’efficacia delle tecniche mentali apprese, che modificano l’atteggiamento in campo e di conseguenza il proprio livello di performance.

I ragazzi che si presentano da lei, cosa cercano di concreto?

Difficilmente sono i ragazzi in prima persona a chiedere il mio intervento come mental Coach. Quelli che lo fanno si distinguono e già per questo dimostrano una mentalità da campioni, perché riescono a comprendere che la psiche, l’atteggiamento mentale incide fortemente sulla prestazione, sul modo di scendere in campo e mettere in luce il talento e le competenze tecniche e tattiche acquisite.

Per la maggior parte dei casi sono invece i genitori o gli allenatori che chiedono il mio intervento per potenziare delle risorse che vedono poter spiccare nei loro ragazzi (aumentandone ad esempio l’autostima, e quindi la possibilità di credere loro per primi in se stessi, o la capacità di concentrazione e quindi di dare il 100% al momento del match) o per aiutarli nell’affrontare e superare alcune difficoltà che possono essere ad esempio relative alla gestione dell’ansia o dell’impulsività.

I genitori che ruolo hanno nel percorso di crescita del figlio?

Ovviamente i genitori svolgono un ruolo fondamentale nella crescita dei figli, anche per quanto riguarda la crescita sportiva. Non a caso infatti, con più della metà dei ragazzi, da me seguiti come psicologa dello sport (da distinguere quindi rispetto a quello che è il mio lavoro ad esempio in consultorio o nello studio di psicoterapia) uno dei temi pregnanti che diviene fondamentale affrontare è quello del rapporto con il proprio padre e/o la propria madre.

Quante volte infatti giovani, anche tecnicamente talentuosi, non riescono a “fare il salto” e poi si scopre che non stavano in realtà perseguendo il proprio sogno, ma – spesso inconsciamente – portavano avanti il sogno del proprio padre, il bisogno forte di non tradire un’aspettativa grande.

Oppure ragazzi che ripetutamente falliscono o si infortunano, più di quanto sarebbe “normale” aspettarsi, che devono elaborare l’ambivalenza, che gli alberga dentro, tra l’inseguire la propria passione e il non voler deludere una madre che sogna per loro tutt’altra carriera, perlopiù fatta di studio.

Per non parlare di quelli che, sempre più numerosi e sempre più giovani, sono oggetto di contesa (con il calcio che spesso diventa il vero e proprio “campo… di battaglia”) di genitori separati e conflittuali, dove la scelta della squadra non ha alla fin fine nulla a che fare con la scelta migliore per il figlio, ma con il maggior torto che si può infliggere all’altro.

In questi, e in moltissimi altri casi, purtroppo, i genitori finiscono non solo per non essere di supporto al percorso evolutivo del figlio (sia che lo pensiamo in termini calcistici che più generalmente “umani”), ma di divenire intralcio quando non addirittura danno, non permettendogli di costruirsi la propria personalità, di fare le proprie scelte, di seguire i propri desideri…

Molti ragazzi, pur di apparire sui social, mettono a rischio la propria vita facendo dei “selfie” in situazioni di pericolo. E’ cosi importante apparire?

Demonizzare i social oggi non ha molto senso; suona come le critiche che venivano portate all’avvento della televisione da chi era abituato ad ascoltare la radio. Dobbiamo riuscire ad entrare nell’ottica che oggi è uno dei modi che i giovani (ma ormai neanche più solo loro) hanno di comunicare. Quello che invece è necessario fare è creare una cultura, un’educazione, una responsabilità rispetto a quelli che sono i potenziali, ma purtroppo anche i rischi delle nuove tecnologie. Tra questi c’è senz’altro anche quello dell’apparenza. I social contribuiscono a creare la nostra immagine (pensiamo a quanto possa rinforzare l’autostima dei ragazzi un numero elevato di “like”) e parallelamente siamo noi stessi a stabilire che immagine vogliamo dare di noi, cosa che può portare in alcuni casi a un gap profondo tra il “reale” e il “postato”, finendo col confondere il ragazzo stesso su chi sia realmente.

Questo ci conduce ai “giochi” perversi di cui le cronache sono piene, dove si perde l’esame di realtà e ci si confonde su ciò che è puramente virtuale e ciò che non lo è.

Aldilà dei rischi autolesionistici però, non dobbiamo sottovalutare neanche quelli, meno gravi ma più diffusi, che coinvolgono una gran parte dei ragazzi e che riguardano la male gestione dei propri profili social.

Se si ha l’obiettivo di diventare un professionista in ambito sportivo, ad esempio, non è insignificante ciò che si condivide. Non dimentichiamoci che anche Mister e DS hanno accesso ai social e di sicuro non avranno piacere a legare l’immagine del proprio Club a un presunto atleta che ostenta lunghe notti mondane, ripetute incursioni in fast food o che si fa ritrarre con in bocca una sigaretta.

La sua agenzia, la http://www.calcioprofiler.it/ che obbiettivi si pone?

Calcio Profiler ha l’ambizione di occuparsi dei calciatori (e in particolar modo dei giovani calciatori) a 360°, costruendo dei progetti su misura del singolo. Ciò significa conoscere i ragazzi sia dal punto di vista delle caratteristiche tecniche che psicologiche, ma valutarne anche il contesto di appartenenza, dando grande rilevanza ai suoi obiettivi e desideri, ma senza prescindere dal punto di vista familiare.

Per fare un esempio, per noi non ha senso che il nostro procuratore proponga ad un 2002, seppur talentuoso, una squadra dall’altra parte dello Stivale, se lo stesso non ha raggiunto uno sviluppo emotivo e un’autonomia di un certo tipo, perché non reggerebbe la lontananza dal proprio ambiente. Ugualmente diventa necessario trovare dei compromessi rispetto alla possibilità di frequentare sufficientemente bene la scuola, laddove la madre non crede in una carriera sportiva del figlio e boicotterebbe, più o meno inconsciamente, qualunque soluzione ritenuta da questo punto di vista “eccessiva”.

Per permettere a un giocatore di avere un’opportunità è necessario che questa sia, non la migliore in assoluto sulla carta, ma la migliore in assoluto per lui! Lo mandiamo incontro ad un fallimento, se non gli permettiamo di dare il meglio e di poter godere del maggior sostegno possibile, da tutti i punti di vista. Per questo offriamo sempre la possibilità di un confronto e un supporto psicologico (oltre ai percorsi più strettamente di Mental Coach), una presenza frequente a partite e allenamenti da parte dell’agente o di uno scout “dedicato”, una serie di convenzioni che agevolino il percorso (materiale tecnico scontato, osteopata, fisioterapista, nutrizionista…).

In ragazzi “di alta fascia” o in situazioni particolari, poi, lavoriamo anche sul reperimento di sponsor e/o sulla cura dell’immagine “social” e mediatica.

Insomma, l’idea è di lasciare il più possibile ai calciatori l’impegno e il divertimento del “gioco”, preservandoli e prevenendo tutte le altre dinamiche che potrebbero inficiare la loro performance.

Dovrebbe essere superfluo specificarlo (ma purtroppo non lo è!) che non chiediamo soldi alle famiglie per offrire qualche provino – “specchietto per allodole”

La nostra idea è quella di scommettere su un ragazzo, di metterlo nella miglior condizione per riuscire e di conseguenza… vincere insieme o perdere tutti.

Stando accanto a molti ragazzi e giocatori, come si spiega il fallimento del calcio italiano?

A me capita di vedere tanti ragazzi, anche molto giovani, che non solo dimostrano talento in campo, ma anche un atteggiamento mentale da campioni, con grande determinazione e capacità di concentrazione. Eppure questi stessi ragazzi crescendo faticano spesso a trovare spazio. Io credo che uno dei problemi importanti oggi nel calcio italiano sia il gap che esiste tra ciò che si afferma e ciò che viene poi applicato, tra i racconti relativi all’importanza di “puntare sui giovani” e la realtà delle scelte sul campo dove, questi stessi giovani vengono molto poco valorizzati, continuando a preferire “l’esperienza”, quando non la prestanza fisica di giocatori stranieri.

In questo periodo è scoppiato il caso “molestie”, per avere un’opportunità a volte vengono richieste “prestazioni” che esulano dalla professione. Anche nel calcio succedono?

Succedono. A livelli diversi, in parte, ma succedono. Succedono in modo molto simile alle storie che si stanno sentendo ultimamente nel mondo del cinema, se sei una donna che lavora in un mondo che è prettamente maschile e purtroppo anche molto maschilista. Succede che Mister, DS, Agenti, spesso (non sempre per fortuna) fatichino a prenderti sul serio, a riconoscerti una competenza, a dare un valore a quello che fai e a quello che sei e quindi il passo verso la “goliardia” diventa breve. La squalifica passa di frequente dal trattare l’altro come un oggetto a cui posso dire e/o fare quel che mi pare. Fortunatamente accettare e permettere certe “libertà” non è affatto necessario, ma ad ogni modo può essere parecchio fastidioso trovarsi continuamente a doversi “difendere” da avances non sempre misurate ed eleganti…

A parte questo, che coinvolge comunque una “minoranza”, ritengo che ci siano altre forme di “molestie” e abuso di potere che riguardano invece molti giovani calciatori (ma, si sa anche se non si dice, anche non giovani allenatori) che si trovano a non essere sempre valutati in base al proprio valore e al proprio merito, ma in base allo “sponsor” che possono portare con sé all’interno di una società.

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