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La vera icona in “IL DIARIO PERDUTO DI FRIDA KAHLO” di ALEXANDRA SCHEIMAN

Vitale, estrosa, alternativa. Qualità decisamente associabili a una delle icone artistiche più importanti a livello mondiale, Frida Kahlo.

Tutte vere certo, ma c’è solo questo? In realtà no e tale aspetto emerge dalla lettura de “Il diario perduto di Frida Kahlo”, romanzo d’esordio della scrittrice e psicologa messicana Alexandra Scheiman edito da Bur Rizzoli Narrativa.

Il diario racconta la storia della pittrice messicana nella sua essenza e si direbbe nella sua tristezza, dall’infanzia con tanto di diagnosi di poliomielite, al drammatico incidente all’età di diciotto anni, all’amore passionale con Diego Rivera, al suo intenso legame con l’arte.

Il diario perduto
Il diario perduto

Ne viene fuori una prospettiva diversa sotto tanti aspetti, potrebbe dirsi nuova.

La protagonista della biografia infatti non è “Frida la pittrice”, vero mito artistico, ma è una donna debole nella sua forza. Un personaggio differente, decisamente reale, con le sue sofferenze e la sua determinazione.

Una descrizione mai banale non solo per l’oggettiva drammaticità degli eventi, si direbbe mai noiosi, che hanno accompagnato la vita della Kahlo, ma anche perché a renderla unica è la tematica mistica che la caratterizza.

Visioni, sensazioni, energie diverse prendono forma all’interno del testo. Si materializzano nell’immagine di un Messaggero dal cavallo bianco, portavoce della Morte, o in quella della donna-velata, più volte presente nella vita della pittrice.

Momenti dai quali emerge una Frida contemplativa, spirituale, legati a un contesto più ampio, qual è il legame secolare Morte-Messico.

Ed ecco che Frida, pur presentandosi spesso accompagnata da figure importanti da un punto di vista politico oltre che artistico, dimostra ne “Il diario perduto” di essere, prima del personaggio, dell’icona, del mito irraggiungibile, semplicemente una donna che Ama.

Non è più dunque estrosità l’aggettivo primario, ma Sacrificio è il termine che più le si addice. Metaforicamente esso è legato al patto che Frida stipula con la Morte, quello di sopportare il dolore in cambio della felicità dei suoi cari o di un istante in più di vita terrena.

E poi viene l’arte, intesa come la liberazione, la gioia colorata nella sua vita grigia.

L’arte che è capace di esprimere con le sue tonalità i colori dei frutti, il profumo del cibo, il sapore delle sue ricette culinarie, protagoniste indiscusse alla fine di ogni capitolo del diario. Ma allo stesso tempo il tentativo di manifestare ciò che lei, diva incontestata, sentiva dentro.

Maria Pettinato

Maria Pettinato è laureata in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo con una tesi sull'iconografia artistica della Commedia dell'arte e in Scienze dello Spettacolo con una tesi di ricerca sul brigantaggio post-unitario, conseguite con Lode presso l'Università degli Studi di Genova (Facoltà di Lettere e Filosofia). Nel 2013 pubblica il saggio "Potere e Libertà. Briganti nella Calabria post-unitaria (1861-1865)", vincitore l'anno successivo del Premio Nazionale di Calabria e Basilicata (sezione saggistica) e secondo classificato al Premio Letterario Istmo di Marcellinara, e ad oggi alla sua seconda edizione con titolo omonimo. Nel gennaio 2023 pubblica il saggio storico-artistico "Le maschere dalla scena al dipinto (e ad Aeternum)". Collabora per vari anni con riviste di spettacolo come critica e articolista fino a quando, nel 2016, decide di fondare il blog culturale l'Artefatto; si specializza in correttore di bozze e in Storia dell'arte mediante stage presso importanti case editrici e il Master in Curatela e critica d'arte (Treccani Accademia). Ad oggi è docente di Storia dell'arte.

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