La Madonnina sotto l’ombra di Sironi
L'artista di origine sarda, poi trapiantato a Milano, in mostra al Museo del Novecento. nel capoluogo lombardo

Milano rende omaggio a Mario Sironi (Sassari 1885 – Milano 1961), pittore tragico e monumentale, inventore di desolati paesaggi urbani e di imponenti figure umane pervase da una potente staticità, immerse in un patimento solenne e arcaico, a sessant’anni dalla morte, che ha subito per molto tempo la damnatio memorae del “pittore del regime fascista”, con una importante retrospettiva (visitabile fino al 31 marzo 2022, inaugurata il 23 luglio 2021) al Museo del Novecento Mario Sironi.
Sintesi e grandiosità, curata da Elena Pontiggia, massima esperta di questo artista e autrice di una biografia La grandezza dell’arte, le tragedie della storia pubblicato da Johan & Levi e Anna Maria Montaldo, direttrice del Museo del Novecento, in collaborazione con Andrea Sironi-Strausswald (Associazione Mario Sironi, Milano) e Romana Sironi (Archivio Mario Sironi di Romana Sironi, Roma). In mostra 110 opere tra cui celebri e straordinari capolavori e pezzi rari che non venivano esposti da 50 anni. Ampiamente rappresentato in mostra è il ciclo dei paesaggi urbani, il tema più famoso di Sironi, che acquista intensità dopo il suo arrivo a Milano nel 1919.
Le periferie urbane di Mario Sironi – Una periferia scarna, desolata Una implacabile volumetria. Fra orizzontalità delle strade e verticalità delle costruzioni . Resa con linee energiche, nette, squadrate. Costruita con colori terrosi, accompagnati da ocra scuri, con pochi tocchi di colore che accendono appena il bruno dominante. Cupi palazzoni minacciosi, le file delle finestre come buchi neri, le ciminiere industriali, le gru che tagliano il cielo, i capannoni delle fabbriche, le cisterne svettano monumentali e immobili.
Muri lunghissimi dall’altezza vertiginosa soffocano la prospettiva. Uno scuro splendore. Dove tutto sembra, come dire, bloccato. Anche la sagoma scura di una macchina o di un tram o di una bicicletta appaiono come congelati nella loro corsa in una strada che va verso il nulla. Vengono in mente le parole di Italo Calvino ( La foresta-radice-labirinto): la città resta chiusa e irraggiungibile come un’arida urna di pietra”.
Ci resta in gola una sensazione forte davanti ai quei panorami di periferia che hanno consacrato la fama di Mario Sironi. Un tema che acquista intensità dopo il suo arrivo a Milano nel 1919 (e che l’artista riprenderà in diversi periodi della sua vita). Le sue periferie sono uno degli eventi artistici più straordinari del Novecento. Veri e propri paesaggi dell’anima Ed esprimono la drammaticità della città moderna. La desolazione, il senso di solitudine, un futuro gravato di disumanizzazione. Scorci urbani di incredibile attualità che innescano una serie di rimandi allo scenario delle città contemporanee, creando in noi spettatori turbamenti ed interrogativi.
Sono immagini ben lontane dal gioioso e colorato dinamismo che aveva contrassegnato le città dipinte dai futuristi, come La città che sale che aveva dipinto l’amico Boccioni nel 1910. Se per i suoi amici futuristi la città era il soggetto principe di una nuova mitologia moderna con i suoi ritmi, le sue luci, la sua concitazione, una città in marcia verso l’industrializzazione, proiettata verso un futuro visionario, per Sironi le cose non stavano così . L’artista di nascita sassarese dipinge il senso di spaesamento e di solitudine che questo sviluppo impetuoso genera . Quel dinamismo futurista si è raggelato in una spettrale, estraniante, immobilità. Nella desolazione di strade deserte, popolate da oscure sagome di solitari tram e di camion che sembrano come ombre. Attraversate da esili figure umane, già stanche di vivere il progresso.
Immagini potenti, monumentali che rappresentano e restituiscono una solitudine fino a quel momento sconosciuta e perciò inespressa nell’arte: la solitudine della nuova metropoli. Le sue periferie sono piene di solitudine esistenziale. Eppure è difficile immaginare città più monumentali ed eterne di queste. Come diceva una attenta interprete di quella stagione culturale, Margherita Sarfatti, “da questo squallore meccanico della città odierna Sironi ha saputo trarre… una bellezza e una grandiosità nuove”.
Il tema delle periferie ritorna negli anni quaranta. Nelle ultime sale della mosta. Le città si sono incupite, quasi che una patina di catrame ne avesse appesantito lo slancio. Anche i muri saturi di stanchezza. L’ossatura del Gasometro del 1943 è un enorme scheletro urbano che si staglia, scuro e incombente, su una minuscola sagoma corvina che fugge in bicicletta solitaria. I cieli sono cieli di latte, bianchi ma senza luce, inchiostrati da nubi di un nero cupissimo. La Periferia del 1948 è immersa in un blu scuro, freddo e ghiacciato , intrisa dello smarrimento esistenziale.
Il trasferimento a Milano – Mario Sironi nasce a Sassari il 12 maggio 1885, da padre comasco, ingegnere che in quel periodo lavorava in Sardegna, impegnato nella realizzazione del Palazzo della Prefettura e della Provincia di Sassari e da Giulia Villa, fiorentina (figlia di Ignazio Villa, poliedrica figura di architetto, astronomo, scultore e inventore). Nel 1886 la famiglia Sironi lascia la Sardegna e si trasferisce a Roma. Il 1898 è l’anno del primo grande dolore di Mario, infatti, muore di polmonite il padre Enrico proprio quando la moglie Giulia è in attesa del sesto figlio. Una perdita incolmabile.
Nel 1902 si iscrive alla facoltà di ingegneria, per seguire le orme del padre, ma sofferente di crisi depressive (crisi che lo accompagneranno per tutta la vita) grazie a un amico di famiglia, lo scultore Ettore Ximenes, trova il coraggio di abbandonare la facoltà per dedicarsi allo studio del disegno e della pittura, frequentando la scuola di nudo di Via Ripetta dove conosce Umberto Boccioni e Gino Severini, e soprattutto lo studio di Balla.
In questo periodo, compie i primi viaggi di formazione all’ estero (nel 1906 a Parigi, insieme al grande amico Boccioni, nel 1908 a Erfurt, in Germania ospite dello scultore tedesco Feliz Tannenbaum conosciuto a Roma). A cavallo fra il 1905 e il 1906 è da datarsi anche il primo soggiorno di Sironi a Milano, ospite del cugino Torquato (affermato chirurgo, filantropo e uomo politico), nel 1905 viene eletto Consigliere del Comune di Milano per il Partito Liberale, che lo aiuta economicamente, consentendogli di proseguire negli studi.
A partire dal 1913, ispirato dall’opera di Boccioni, si avvicina al futurismo. Nel 1915 quando scoppia la guerra, come tutti i futuristi, si arruola nel Battaglione Volontari Ciclisti. Nel luglio 1919 sposa Matilde Fabbrini, conosciuta nel 1914, insegnante di francese, dalla quale avrà due figlie, Aglae nel 1921 e Rossana nel 1929 (che muore suicida nel 1948). Nonostante la formazione romana, Mario Sironi instaura subito un forte rapporto con Milano, quando vi si trasferisce per breve tempo nel 1915, dove collabora con illustrazioni alla rivista “Gli Avvenimenti”, vicina al futurismo, ed entra nel nucleo dirigente del gruppo.
Arriva definitivamente a Milano nel 1919 e partecipa alla “Grande Mostra Futurista” di Palazzo Cova, povero al punto di non poter portare con sé neanche la moglie Matilde. “Milano ronza intorno come quei motori del dirigibile che ascoltavamo svegli appena, quando anche l’amore mi era permesso. L’unico sollievo sarebbe lavorare se mi fosse possibile piantare una tenda in piazza Duomo”, scrive a Matilde, costretta a rimanere a Roma per mancanza di soldi.
Dopo un alloggio di fortuna in un albergo, nel novembre 1919, l’artista si trasferisce in via Pisacane al 37: “In una stanza mobiliata appena lo spazio per muoversi perché fornita di un armadio gigantesco che ne occupa la metà – un lettino e un tavolino – una bella casa lire 120 senza riscaldamento a termosifone che è a parte. Mi ficcherò lì dentro e sarà bello lavorarci..”
“Una sordida pensioncina”, lo definirà la moglie Matilde quando nel 1920 finalmente può raggiungerlo. Vivono, tra mille ristrettezze e non di rado soffrono la fame. E intanto “i milanesi sono tutti al restaurante”. Sironi inizia a collaborare come illustratore, con la rivista “Ardita” e con il periodico “La Fiamma Verde e dal 1921 fino al 1942 per Il Popolo d’Italia fondato da Benito Mussolini nel 1914 : e lavora in modo forsennato. La coppia poi si sposta in via Fratelli Bronzetti 35, in una casa popolare destinata dal Comune agli artisti. Il loro rapporto, non facile, si incrina definitivamente quando nel 1930 Sironi si lega a Mimì Costa, giovanissima modella a cui, tra alterne vicende, rimarrà vicino tutta la vita.
Nel capoluogo lombardo Sironi conosce la sua prima grande estimatrice, Margherita Sarfatti, protagonista della scena negli Anni Venti e mecenate degli artisti milanesi; donna libera, colta, raffinata, di ricca famiglia ebrea veneziana trasferitasi a Milano, è sposata a un avvocato milanese (e amante del giovane Mussolini), scrive d’arte sulle pagine de Il Popolo d’Italia. Sironi diventa assiduo frequentatore, nelle serate del mercoledì, del suo celebre salotto color cremisi in corso Venezia 93. E’ lei, “l’illustre e cara amica” a presentargli Mussolini.
E’ lei a sostenerlo, promuoverlo, tentare di proteggerlo dal tarlo della depressione che rispunta sempre. Vezzeggiandolo se occorre come un bambino: “Sironcino mio”. E Sironi parte per un’altra avventura decisiva: quella di Novecento, il movimento che fonda insieme ad altri sei artisti di minor peso, in cui auspica un ritorno a una “moderna classicità”, reinterpretata nelle forme e nei volumi. Con i favori della Sarfatti e sostenuto dal gallerista Lino Pesaro, Il Gruppo del Novecento espone per la prima volta il 27 marzo del 1923, alla Galleria Pesaro di Milano, in Via Manzoni, alla cui inaugurazione è presente Benito Mussolini.
Il paesaggio industriale della Bovisa, le sue fabbriche, i gasometri , le ciminiere, i palazzoni alti, hanno rappresentato una fonte di ispirazione per i suoi celebri Paesaggi urbani e diventano proiezione dei suoi stati d’animo. “Avrai il solito sole romano che ti fa più leggera la vita – qui il solito fumo, ancora freddo, la solita tetraggine sconsolata. Il che del resto va d’accordo con l’amara tristezza che mi rode in eterno la vita”, scrive al fratello Ettore nell’ aprile del 56. Negli ultimi anni Sironi usciva raramente. Camminava con fatica. Abitava in via Domenichino, una casa triste con un lungo corridoio oscuro come il cunicolo di una miniera.
Muore il 13 agosto 1961 per una broncopolmonite in una clinica milanese. Al suo funerale ci furono solo cinque persone. L’amato fratello Ettore con la moglie, Gino Ghiringhelli della galleria Il milione. che lo sostenne dopo la guerra , la portinaia di via Domenichino ,l’ assistente e poi mercante Willy Macchiati.
Tempo prima l’artista aveva scritto a Luigi Gobbi, suo barbiere e uno dei suoi rari confidenti: “Di me non so dire nulla. C’è un mucchietto di rifiuti qui davanti, nell’orto, e mi sembra la mia vita, il mio cuore, le mie speranze…”. E anche: “Speriamo davvero che dopo tante burrasche, tante tempeste, tanto bestiale soffrire […] si arrivi lo stesso in un porto dove per questo misero cuore ci sia pace e silenzio”.
ORARI
Lunedì | CHIUSO |
Martedì | 10.00-19.30 |
Mercoledì | 10.00-19.30 |
Giovedì | 10.00-22.30 |
Venerdì | 10.00-19.30 |
Sabato | 10.00-19.30 |
Domenica | 10.00-19.30 |
Ultimo ingresso consentito un’ora prima della chiusura del museo.
BIGLIETTI
Intero | 10 € |
Ridotto | 8 € |
Museo del Novecento
Piazza Duomo, 8 Milano
T. +39 02 884 440 61
F. +39 02 884 440 62
c.museo900@comune.milano.it