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La storia di Superpippo

E' stato presentato il libro autobiografico di Inzaghi, grande attaccante del Milan

“Il 9 agosto compio 50 anni e sono un uomo felice.  Il pallone è sempre gonfio, e i  i suoi rimbalzi mi piacciono ancora di più perché quando torno dal campo e apro la porta di casa trovo tutto quello che mi completa: Angela, Edoardo, Emilia”.

Allo store Mondadori di Milano, Pippo Inzaghi, mitico  attaccante e oggi allenatore della Reggina in Serie B,  ha presentato la sua autobiografia scritta con il giornalista Giovan Battista Olivero intitolata Il momento giusto, edita da Cairo. Presenti tifosi rossoneri, ma anche familiari, suo fratello Simone, anzi Mone come lo chiama Pippo (“Lui per me è tutto: fratello, migliore amico, confidente. Un rapporto viscerale, fatico a ricordare  una litigata, al massimo un paio di discussioni e probabilmente c’era il pallone di mezzo. Mone è la mia certezza”), papà GiancarloAngela Robusti,  la compagna e madre dei suoi due figli (Edoardo  nato il 24 ottobre 2021, Emilia nata il 21 marzo 2023). Amici di vecchia data: da Bobo Vieri ad Adriano Galliani, amministratore delegato del Monza ed ex ad del Milan, che racconta: “Pippo ha rinunciato a 10 miliardi pur di trasferirsi dalla Juventus al Milan,  ma ha avuto la buona sorte di vincere Mondiali, Mondiale per Club, Champions League. Io gli ho sempre voluto bene, in Italia ci sono stati giocatori tecnicamente più bravi, ma nessuno capace di fare gol come lui”. Inzaghi risponde con una battuta che ha fatto ridere tutti: “Devo rimproverare solo una cosa al Dottore (Galliani, ndr), mi sarebbe piaciuto allenare il Monza,  la stagione dopo quella dominata in B sulla panchina del Benevento”. Galliani:, preso in contropiede: “Ci avevamo pensato, sì…”.  Ricorda con emozione papà Giancarlo,senza staccare per un attimo gli occhi dal pargolo: “Li portavo allo stadio a vedere il Piacenza. Pippo aveva 9 anni e Simone 6, venivano anche con la neve, li imbacuccavo e li portavo al Garilli. Ai miei figli non ho mai fatto un regalo che non fosse un pallone. Volevano solo il pallone. Spaccavano vasi e vetri”. La passione per il calcio, del resto, Pippo l’ha ereditata  proprio da papà Giancarlo, ispettore  vendite per la Playtex e poi per la Zucchi Bassetti, calciatore dilettante, aveva  giocato nella Libertà: poca gloria, tanta passione, ammette papà. Chiarisce  Inzaghi: “A me la categoria interessa poco, amo il calcio, in qualunque posto e in qualunque categoria. La gente lo sente, credo”.

Il momento giusto. Un libro che racchiude sogni, speranze, successi, ma anche difficoltà, sconfitte . Tanti gli aneddoti di una vita e di una carriera. Dai primi campetti nel piacentino (“Dove giocavo solo se facevano giocare mio fratello Simone”), all’ultimo gol segnato con la maglia del Milan, a San Siro contro il Novara nel 2012. segnando anche il suo ultimo goal in carriera, il numero 156. Titolo davvero azzeccato.  Superpippo ha costruito un’intera carriera sul farsi trovare al posto giusto al momento giusto, aspettando il momento giusto per  sorprendere la difesa avversaria e scattare verso la porta. Là in mezzo, tra una selva di gambe e strattoni, sempre sul filo del fuori gioco,  in quel modo febbrile di muoversi alla ricerca spasmodica di un’occasione per segnare, anche quando aveva un angolo ridotto verso la porta, riusciva a inquadrarla facendo leva sulla sua  capacità di individuare l’attimo esatto per colpire  e prevedere dove i rimbalzi segreti del pallone andassero a carambolare! Ma come ci riusciva? Chissà. Lui liquida la faccenda così: “Non ho bisogno di guardare la porta, non mi è mai servito: io la sento“.

“In passato avevo già pensato di raccontare la mia storia, ma ogni volta avevo rinviato. Aspettavo il momento giusto. Eccolo. Ho deciso di scriverlo soprattutto per loro due,  Edoardo ed Emilia. E’ un regalo per loro, per i miei tifosi, per tutta la gente che mi vuole bene. Ho due figli piccoli e spero che, un giorno, possano leggerlo per capire come sono riuscito, tramite i sacrifici e la passione, a raggiungere obiettivi importanti nel mio percorso . D’altronde, questo è anche il motivo per cui alleno: mi piace l’idea di trasmettere le mie idee ai calciatori, per poi guardarli mentre le applicano in campo”.

Il suo motto. Non mollare mai.  Banale ma essenziale.

La fame di gol. Nessuno sport ha qualcosa di paragonabile al gol. È così per tutti, ma è stato un po’ di più e molto altro per  Filippo Inzaghi. Per una vita lo stesso menù (pasta in bianco con un pizzico di sugo rosso e bresaola a cena,  per far diventare il suo corpo una macchina efficientissima) ma affamato di gol. Un pensiero unico, fisso, soverchiante, di un gol da segnare.  In qualunque modo: di testa, con il destro o con il sinistro, di collo, di piatto…. Ecco, se pensiamo a Pippo, ci viene subito in mente  l’urlo di gioia, dopo che la palla accarezzava la rete.  Che fosse il gol decisivo in finale di Champions contro il Liverpool ad Atene nel 2007, o in serie  C , l’esultanza non cambiava. Quando la palla tornava al centro tornava a pensare al suo unico pensiero fisso, il prossimo gol (Si racconta che a casa ha una stanza dedicata alla sua videoteca personale: dentro tutte le sue partite, e tutti i suoi gol. Li ha filmati pazientemente il padre). Il primo gol ufficiale me lo ricordo come se fosse oggi:  con la maglia del Leffe in serie C1. Era il 20 dicembre 1992 si giocava contro il Siena, l’ho segnato al minuto il 34 del secondo tempo.

Tra le foto delle esultanze di Inzaghi, c’è quella durante la finale di Atene tra Milan e Liverpool del 23 maggio 2007 in cui Inzaghi segnò una storica doppietta che ha deciso la Champions League , il Milan conquista la sua settima coppa dei Campioni e diventa il club più vincente al mondo.  Al 45’, sul filo del fuorigioco (altrimenti non sarebbe lui), devia in porta una punizione di Andrea Pirlo, e all’82’ di una gara tirata, ma sempre sotto controllo da parte dei milanisti, su lancio di Kakà uccella la difesa del Liverpool e Pepe Reina,infilando il 2-0.  E dire che quella partita non doveva giocarla: uno stiramento lo aveva messo ko qualche giorno prima e tutti spingevano ormai Alberto Gilardino verso un posto da titolare. Racconta Galliani:  “La sera prima della finale di Atene con il Milan, Inzaghi non si teneva in piedi, dissi a Carlo Ancelotti che forse era meglio far giocare Gilardino che stava meglio. Lui mi rispose :‘Pippo anche se non sta in piedi, domani è capace di farne due’.

Tutto comincia dalla Buca. E’ un campetto in cemento, a San Nicolò, frazione del comune di Rottofreno, settemila anime affacciate sul fiume Trebbia, a dieci minuti di auto dal centro di Piacenza. A due passi dalla scuola che i fratelli Inzaghi frequentano.  La mattina Pippo, più grande tra i due, mette il pallone dentro lo zaino e stuzzica Simone: “Il primo che arriva prende il campo”. Alle 13 finiscono le lezioni e iniziano le sfide. Interminabili. Sognando di diventare calciatori professionisti. Scrive Inzaghi  nell’autobiografia: “C’è un momento magico in cui ogni bambino si sente sicuro di poter trasformare  il desiderio di diventare un calciatore in realtà. La maggior parte del ragazzi dovranno accontentarsi di giocare per divertirsi, che è  poi comunque una cosa bellissima ma ciascuno di loro si sarà immaginato almeno una volta in un grande stadio magari a segnare in una finale con la maglia della propria squadra dl cuore. Io alla Buca mi sentivo l’ attaccante più forte del mondo”.

Il suo idolo da bambino. Gerd Muller, lo storico attaccante del Bayern Monaco. Per me era una specie di Neil Amstrong del gol. Aveva vinto tutto. Un giorno me lo trovo davanti alla Buca. Avevo appena fatto un gol. Uno dei miei, dei suoi: anticipo secco sul difensore, e tocco di prima in porta.  Era il 29 settembre del 1995, giocavo con il Parma.

La prima squadra. Dalla “Buca” al San Nicolò, società  dilettantistica piacentina, il passo è immediato: prima nei pulcini, poi negli esordienti.  “Mi tesserarono anche se non avevo ancora l’età giusta”. Con gli emiliani debutta tra i professionisti il 28 agosto 1991, a 18 anni Tempi di borsone e corriera: scuola, campo e serate sui libri. Inzaghi prende il diploma in ragioneria. “Per andare a scuola a Borgonovo, un paesino vicino, prendevo un pullmino, quando facevo tardi mi accompagnava la mamma con la Panda oppure facevo l autostop  insieme a un paio di amici”. A Piacenza gli avevano trovato un soprannome romantico e un po’ sdolcinato: Peter Pa . Nel 1993, a 20 anni, quando arriva n Serie B al Verona, i tifosi lo ribattezzano “Superpippo”.   Il 29 ottobre 1995, acquistato dal Parma  Pippo segna il suo primo gol in Serie A nella vittoria per 3-2 contro la sua ex squadra, il Piacenza.

San Siro. La prima volta che entrai al Meazza ero un bambino: estate 1983. Si giocava il Mundialito. Papà decise che quella era l’occasione giusta per portarci in trasferta a Milano. Era tutti così bello, così fantastico. Un giorno avrei giocato su quel campo. Lo pensavo fortissimamente.  Il 3 novembre 1996 segnai per la prima volta a San Siro, indossavo la maglia dell’ Atalanta. Non fu  l’unica prima volta della giornata, verso la fine della partita ricevetti l’ espulsione numero uno in serie A, per doppia ammonizione. Ricordo ancora il nome dell’arbitro: Roberto Bettin di Padova. Era il campionato in cui vinsi la classifica cannonieri e quello fu uno dei gol piu belli. Dribblai Alessandro Costacurta e conclusi con un destro violento sotto la traversa.

Ciao Milan. L’ultimo gol realizzato con la maglia del Milan nella partita del Meazza contro il Novara.  E’ il 13 maggio 2012. Ecco come lo ricorda Inzaghi: “Parto sulla linea del fuorigioco. Clarence Seedorf ha capito in anticipo: il suo lancio è perfetto, io stoppo di petto e mi defilo leggermente sulla destra.  Fontana, portiere del Novara, mi esce incontro con prontezza e mi chiude lo specchio, almeno è ciò che crede. Io faccio una girata di destro e la palla finisce in rete. Impazzisco. Corro sotto la curva, il primo ad abbracciarmi è Alessandro Nesta. L’ultimo tiro della mia vita è un gol”. È finita. Con il Milan alla fine sono 126 gol in 300 partite. E mette in mostra i gioielli raccolti con il Milan: due Champions, due Supercoppe europee, una Coppa del mondo per club,  una Coppa italia e due Supercoppe italiane. Un forziere da fare invidia ai grandi di ogni epoca. Inzaghi ha 39 anni, le rughe attorno alla bocca e qualche capello bianco. Nella foto i suoi occhi sono piccoli e intensi, hanno qualcosa di doloroso, sembrano quelli di un uomo che non è già più  lì in quel momento.

Tempo di ringraziamenti. La mia più grande fortuna è stata quella di trovare sempre allenatori con i quali ho avuto splendidi rapporti. Mutti per me è come un padre e a lui devo più di tutti. E poi Nevio Scala, eccezionale. Quindi Luigi Cagni ed Emiliano Mondonico. Sono molto diversi, ma hanno una grande dote in comune: la grinta e la capacità di trasmetterla alla squadra.

Vecchie ruggini che tornano a galla. Era stato Allegri a chiudere la mia carriera da giocatore. Io e il Milan, infatti, nella primavera del 2012 avevamo trovato un accordo per prolungare di un anno il mio contratto.  Galliani era felice di aver trovato insieme a me questa soluzione. Allegri invece la chiese  che non mi fosse rinnovato il contratto. Per me fu una mazzata.

 La panchina. E’ il posto più odiato dai calciatori, e che per mia fortuna ho frequentato poco. Ed è il posto in cui mi sono rifugiato quando ho smesso di giocare e il futuro mi sembrava un incognita troppo grande. Strano no? C’è una panchina nella vita di ognuno di noi, fuori dal calcio. E’ un luogo metaforico in cui ti isoli per riflettere, per rivedere da li il percorso che stai compiendo. Sono passato dal campo alla panchina in pochi giorni. Smettere è difficile perché il calcio per me è stato sempre un gioco. Il bambino che non gioca non è un bambino ma un adulto, e  io non volevo perdere il piccolo Pippo che si agita dentro la sua versione adulta. Adriano Galliani, quando mi propose di intraprendere la nuova carriera alla guida degli Allievi del Milan, era stato buon profeta. Era il modo migliore per continuare a sentire l ‘adrenalina da pallone, a respirare quell’atmosfera che mi circondava fin da quando ero bambino E trasmettere in particolare ai più giovani, le conoscenze e la passione sportiva. Capisci che sei diventato un allenatore quando comincia ragionare per venti.

Il momento nero. Nel giugno del 2015 si era chiusa la mia avventura alla guida del Milan. Non riuscii ad assorbire la lontananza dal mio mondo, dal profumo dell’erba, dalla sacralità dello spogliatoio. Senza calcio stavo male. Sono stati mesi di disagio e sofferenza, in cui faticavo a trovare una via d’uscita. Mi alzavo al mattino e non sapevo come arrivare a sera. Andavo in palestra, ma senza entusiasmo. Il mio corpo mi mandava segnali inequivocabili di malessere. Mi sono spaventato. Anzi, lo dico chiaramente e senza vergogna: ho avuto paura. Ho fatto quattro gastroscopie e altre analisi poco piacevoli, viaggiavo sempre con un borsello pieno di cd con ecografie e risonanze che mostravo a vari specialisti. Ho temuto di avere qualcosa di grave, perfino la Sla. Ho capito qual era il problema, l’ho superato poco alla volta, circondandomi dell’amore della famiglia.  Ero un giocatore realizzato, ma non ero ancora un uomo completo. Evidentemente, per quello non era ancora arrivato il momento giusto. Poi ho conosciuto Angela e ho capito tutto.

Venezia. Una citta a cui sarò sempre riconoscente, perché lì ho conosciuto Angela e ritrovato me stesso.

Nell’estate del 2016 è il nuovo allenatore del  Venezia fortemente voluto dal presidente Joe Tacopina, dopo  una fresca promozione dalla Serie D. Inzaghi vince: gol segnato con la promozione della squadra in Serie B. Poi nel 2018 ritrovai a serie A alla guida del Bologna Nell estate del 2022 il suo giro d’Italia l’ha portato a Reggio Calabria. Dopo una quantità di flirt e fidanzate  che gli sono stati affibbiate, arriva anche il momento giusto per incontrare la donna giusta, Angela Robusti, ex miss Veneto. professione wedding planner, 17 anni più giovane di lui. “E quando ti accorgi che i tuoi occhi non potranno mai smettere di guardarla come se fosse la cosa più bella del mondo. Allora capisci che sarà per sempre…”, scrive un innamoratissimo  e romantico Pippo Inzaghi. “Ho conoscito Angela a una festa di  Hallowen , il 31 ottobre 2017 due giorni dopo  un pareggio che mi aveva fatto arrabbiare e decisi di uscire per far passare l’amarezza di quel pareggio 1-1 del mio Venezia contro il Frosinore in un posto affascinante:  Palazzina Grassi a Venezia. A fine serata,  poco prima di andare via passai al bar e chiesi un bicchiere di acqua naturale. Angela era al bar per lo stesso motivo.  Ci sorridemmo e ironizzammo su quella strana affinità.  Mi colpi subito: bella, bellissima

Racconta Angela. Non avevo mai visto una partita di calcio, sono un’appassionata di motociclismo. E  non sapevo chi fosse. Quando mi ha chiesto il numero non gliel’ho dato. È stato tenace. Mi ha cercata sui social e infine mi ha invitata a cena in uno stellato,  poi decidemmo di andare a bere in un locale di Abano . Ci sedemmo in un tavolino in mezzo alla sala e lì ci scambiammo il primo bacio. E il secondo E il terzo, impossibile tenere il conto. Dopo un paio di settimane siamo andati a vivere insieme..

Tac tac tac. EIl rumore del pallone, che da piccolo facevo rimbalzare nei momenti di attesa, prima che mamma mi desse il via libera per  correre a giocare. Lo prendevo fra le mani, lo facevo cadere per terra, lo riprendevo e così via  fino a quando mamma, un po’ divertita e un po’ infastidita, mi lasciava andare… Tac, tac, tac emozione pura, come il battito del cuore di Edoardo ed Emilia, ancora nella pancia della mammma. Per me era diventato un suono inprescindibile,  tornavo a casa dal campo, mi sdraiavo accanto ad Angela e ascoltavo il tac tac del cuoricino dei nostri bambini (con l’apparecchio Angel sound)

La data delle nozze ? E’  fissata  per il 24 giugno 2024.

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