La poesia tra il cielo e la terra
Il Magnificat della Merini interpretato a teatro dalla talentuosa Scommegna

“Maria è il respiro dell’anima, è l’ultimo soffio dell’uomo. Maria discende in noi, è come l’acqua che si diffonde in tutte le membra e le anima, e da carne inerte che siamo noi diventiamo viva potenza”. Sono versi di sconvolgente bellezza della poetessa Alda Merini dedicati a Maria, alla sua maternità, raccolte nel libretto Magnificat. Li abbiamo uditi risuonare nel crepuscolo di fine giugno nel suggestivo cortile della chiesa di Santa Maria della fonte, nel parco Chiesa Rossa di Milano Sud. Sul palco, Arianna Scommegna, attrice talentuosa e fondatrice della compagnia teatrale Atir, che ne è stata applauditissima, vibrante interprete. Accompagnata dalla fisarmonica di Giulia Bertasi (adattamento Gabriele Allievi, regia Paolo Bignamini, produzione: Teatro de Gli Incamminati, ATIR).
Nel Magnificat (2002), la grande poetessa milanese (scomparsa nel 2009) affronta il vertiginoso volo di dare voce poetica a Maria, indagando soprattutto il suo aspetto più umano e femminile: la maternità, non solo in quanto Madre di Cristo, ma donna. Un inno a Maria, alla sua umanità, al suo mistero. Con una sensibilità nuova: quella di un artista che testimonia con il travaglio della sua vita (gli elettroshock subiti durante gli anni di ricovero all’ospedale psichiatrico, cresciute da altre famiglie le figlie che le vengono tolte) mantenendo intatti la gioia, lo stupore di una bambina e la capacità di darsi. La Maria di Merini è creatura di luce, di carne. Vibrante di contrasti: mistica e laica al tempo stesso. Straziata e illuminata. Spaventata e stupita. Dubbiosa e perdutamente innamorata di Dio. Fanciulla piena di stupore davanti all’annuncio dell’Angelo si lascia meravigliare dal Signore e pronuncia il “Sì” che cambia la storia del mondo. “La cosa che mi emoziona di più è come Merini ci consegni Maria in tutto il suo percorso vertiginoso, Mater dolorosa ai piedi della Croce . E, comunque, resta inafferrabile”, racconta Arianna Scommegna.
Sul palco solo un leggio, uno sgabello con appoggiato un velo blu cobalto che diventa la fascia in cui Maria avvolge e coccola il corpicino del suo Bambino Gesù, infine il velo stretto e pesante per coprire la vecchiaia di Maria, ormai sola, ma sempre “umile serva”.
L’impatto dell’interpretazione è affidata alla sensibilità di Arianna Scommegna (Premio Ubu 2014, diploma nel 1996 alla scuola di Arte drammatica Paolo Grassi, alla sua voce straordinaria (dopotutto è la figlia del celebre cantautore Nicola di Bari, al secolo Michele Scommegna) che sa restituire quel misto di carnalità ed estasi (“Nessuna carezza / è mai stata così silenziosa / e presente / come la mano di Dio. Lei sul palco è Maria/Alda Merini. Il suo stupore, i suoi tremori, le paure, il dubbio (“Come potrò dire che ho tradito l’uomo con un’essenza divina?”). L’accettazione della parola di Dio che si fa carne. L’ascolto assorbe ogni attenzione del pubblico e conduce in un viaggio fra cielo e terra, sacro e profano, denso di suggestioni. Scommegna riempie il testo di una straordinaria quantità di echi, di timbri e intonazioni vocali. Concentrata e fluida, l’attrice passa da toni sommessi a alla risata infantile che zampilla di gioia, dalla preghiera alla minaccia a Dio affinché suo figlio le venga restituito. Lei è un “groviglio di lacrime”– reali che le rigano il volto e chiede “miserere di me che sono morta con Lui”. Fino allo strazio, quel grido di disperazione (“perché questa grande crocefissione amorosa?”)
La musica, di penetrante impatto emotivo, non è solo un sottofondo, un riempitivo ma è partitura in dialogo stesso con le parole. Giulia Bertasi (musicista e compositrice per il teatro) che abbraccia con sensuale trasporto l’ingombrante fisarmonica a bottoni , segue nello scambio di sguardi, attenta, partecipe, complice ogni parola, ogni gesto di Arianna. Quasi senza fiato il pubblico che applaude calorosamente. Si resta senza parole infatti alla fine di questa messa in scena teatrale che costringe a pensare e riflettere su quanto abbiamo bisogno della parola poetica, oggi più che mai, assordati come siamo dai rumori della “techno”, In mezzo alla chiacchiera e al pulviscolo delle parole svuotate di profondità e di memoria che la poesia invece coltiva ed evoca costantemente. “Mi sono chiesta quali parole vorremmo ascoltare in un momento difficile come questo. In mezzo a tanta confusione, alle notizie che rimbalzano, al rumore, le parole di Alda Merini ci riportano a qualcosa di profondo a cui aggrapparci, mettono radici e ci sorreggono, ci consolano con dolcezza e con amore. Ci aiutano a essere saldi, anche se ci sembra di crollare. Le sue parole fanno bene al cuore”, ci racconta l’attrice. Anche Il bruciante annuncio dell’Angelo è rivolto a tutti noi. “E’ un’esperienza che prima o poi capita a tutti. Il Magnificat è tutte le volte che l’uomo ha una chiamata all’atto creativo. Non è prerogativa unica degli artisti. Tutti abbiamo la capacità di partorire qualcosa che si stacca da noi e va nel mondo come figlio e dono per gli altri. In questo momento storico, fra gli echi di guerra e di distruzione, credo che sentiamo tutti il bisogno di un atto creativo, di una creazione buona, positiva”.
E la sua vibrante, intensa interpretazione del Magnificat è sicuramente un dono. Come la poesia visionaria della Merini. Pareva di sentire il battere delle ali dell’Angelo volteggiare nel cielo come un respiro di pace.