Monet, il talento dell’istantaneità
La rivoluzione pittorica “en plein air” del grande artista francese a Palazzo Reale, all'ombra della Madonnina
“La mia lentezza nel lavorare mi fa disperare ma mi rendo conto che per dimostrare l’istantaneità devo lavorare molto. Le cose facili e di primo getto, mi disgustano”. Claude Monet
L’artista francese è il più significativo del movimento impressionista, anche lui allievo di alcuni maestri e rappresentante del suo tempo, ormai insofferente alla pittura accademica di solo atelier. Frequenta alcuni artisti della Scuola di Barbizon e fin da giovane è amico di Camille Pisarro. Conosce Edoard Manet, Gustave Courbet, Berthe Morisot e Pierre Auguste Renoir.
Chi, però, gli apre gli occhi all’amore per la natura e a cogliere le impressioni di questo mondo è Jean Frédéric Bazille. Il pittore di Montpellier è poco noto al grande pubblico ma gli impressionisti lo considerano il vero maestro della pittura naturalista. Dipinse poco perché morì durante la guerra franco–prussiana del 1870.
Da Parigi a Milano le 53 opere in mostra, arrivano dal Museo Marmottan Monet, che raccoglie la maggior parte dei quadri dell’artista, donati dal figlio Micheal nel 1996 al Museo Parigino. La mostra, promossa dal comune di Milano, rientra nel progetto museologico ed espositivo “Musei del mondo a Palazzo Reale”, nato con l’idea di far conoscere le collezioni e la storia dei più importanti musei internazionali.
Il percorso espositivo, curato da Marianne Mathieu, direttrice scientifica del museo Marmottan, si snoda in 7 sezioni e ci rimanda al percorso stilistico dell’artista, dalla pittura naturalistica, “en plein air” con i suoi schemi prospettici e compositivi più tradizionali, fino alla “serie delle ninfee” che preludono alla visione più rivoluzionaria, quella della smaterializzazione della forma per coglierne solo la sintesi di colore e luce.
Nel percorso espositivo possiamo vedere le opere che interrompono il suo percorso figurativo. Monet, nonostante dipinga un ritratto della moglie, “Camille in abito verde”, esposta al Salon nel 1866, e la “Giapponese”, dove è il colore dell’abito che crea l’opera più che la figura, si distacca velocemente dalla rappresentazione figurativa, per affrontare la pittura di paesaggio “en plain air”.
In mostra possiamo osservare del 1875 “Passeggiata ad Argenteuil” che ritrae la moglie Camille con il suo secondogenito in mezzo alla natura lussureggiante della periferia parigina, e del 1870 “Sulla spiaggia di Trouville”. In queste opere l’artista sperimenta il colore in modo nuovo, mentre lo schema di rappresentazione è ancora legato al tema prospettico della figura in primo piano e dello sfondo, questa volta più rarefatto e determinato dalle condizioni atmosferiche.
Monet ricerca incessantemente la vita all’aria aperta per poter realizzare il sogno della sua vita, il contatto con la natura. Pur amando Parigi, nel 1883 nella Valle della Marna, scopre il villaggio Giverny, dove affitta una casa, che poi acquista nel 1890 e dove vivrà lì fino alla sua morte avvenuta due anni più tardi.
Nel suo giardino costruisce serre e vere e proprie composizioni floreali all’aperto che utilizzerà in seguito nella sua pittura. Fa scavare un ruscello ed edifica un piccolo ponte ispirato ai giardini delle stampe giapponesi, che colleziona numerose. Ingrandisce lo stagno e fa deviare il corso del Ru, un affluente del fiume Epte. E’ grazie a questa deviazione che allargherà il laghetto dove coltiverà le meravigliose ninfee tropicali di specie diverse. Egli coltiva anche una speciale ninfea che nasce dall’incrocio della ninfea bianca con una varietà tropicale che presenterà all’Esposizione Universale del 1889.
Nasce così il meraviglioso giardino acquatico che è la svolta artistica di Monet. La serie delle ninfee, oggi presente in modo permanente al Museo Marmottan, e alcune opere della serie in mostra a Palazzo Reale.
Il ponte di Giverny diventa l’interprete principale della tela. Divide il quadro in due zone, divide le strutture dure da quelle morbide. Le loro masse morbide evocano la fluidità della materia malleabile. Il riflesso raddoppia l’immagine e trasforma le zone nette in zone di colori uniformi. Tra il mondo aereo e mobile del fogliame e il mondo denso delle acque, alcune piante ne assicurano il legame. Iris, giunchi e nenufari. Tutte e tre hanno radici nella terra ma nascono nell’acqua, sono piante dalle origini mitologiche.
Il mito racconta che le ninfee erano divinità di acque chiare, dalle sorgenti una di loro annegò per amore di Ercole e tornò sotto forma di un fiore acquatico. Iris e ninfee sono molto frequenti all’epoca. La foglia della ninfea cambia di colore a seconda del suo stato. Malgrado Monet voglia abbandonare le regole della rappresentazione classica, i laghetti delle ninfee sono molto costruiti. Prospettiva, simmetria ed equilibrio delle masse.
Da vicino le masse sono offuscate ad una certa distanza le forme si organizzano. Nell’armonia verde, la base chiara del quadro è successivamente pennellata con segni più scuri. La parte acquatica viene rappresentata con pennellate orizzontali. Le ninfee sono realizzate con una sola pennellata e gli effetti luminosi sono ottenuti con una spatola o una pennellata velocissima.
“Lavoro su queste tele tutto il giorno. Me le passano una dopo l’altra. Ritrovo nell’aria un colore abbozzato ieri, ma in genere sparisce quasi subito per essere sostituito da un altro colore già registrato un giorno prima su un’altra tela. E proseguo così, i quadri vengono definiti poi in studio. Questi laghetti sono diventati un’ossessione. Spero che tanti sforzi portino a qualcosa”.
Negli ultimi anni della sua vita, soffrirà di una patologia agli occhi che gli renderà impossibile lavorare come prima. Nonostante questo continuerà a riproporre le sue ninfee su tela con colori completamente diversi e più materici. Conosce cosi bene la sua tavolozza di colori, da metterli in sequenza, per ritrovarli in modo veloce e apporli sulla tela.
Il pittore non gioca più con la trasparenza e i ponti, ma come in un quadro di arte contemporanea, la prospettiva non esiste più e la profondità è creata attraverso il colore. Tutto il quadro riportato su un unico piano, precorre il modo di agire della pittura “Informale”.
Monet ne è un precursore, quello che mette in evidenza il pennello e abbandona il piano prospettico tradizionale.
Nel 1918 decide di offrire i pannelli allo Stato. Il suo amico Georges Clemanceaux, politico ormai dimessosi dalla carica, propone a Monet di sistemarli all’Orangerie. Le sale sono inaugurate 5 mesi dopo la morte del pittore nel 1927.
Per concludere, forse mai come gli impressionisti e Monet il percorso stilistico è stato così rivoluzionario per la pittura dell’epoca e molto sofferto per l’artista, dato che le sue opere vengono apprezzate a metà della sua vita. Nel libro di Théodore Duret, (1838-1927), critico d’arte e sostenitore degli impressionisti, si narra che il suo modo di dipingere non fu mai compreso. Fu un mercante, Durant Ruel, che intuì i valori del movimento e un fotografo Nadar (pseudonimo di Gaspard-Félix Tournacho) che ne organizzò nel 1874 una mostra con gli artisti più rappresentativi. Da qui nasce l’impressionismo, che ebbe grande risonanza internazionale, fino a trovare grandi estimatori collezionisti europei e americani.
La mostra si concluderà il 31 gennaio
Orario
Da lunedì a domenica ore 10-19:30, giovedì chiusura alle 22:30. Ultimo ingresso un’ora prima.
Biglietti
Intero € 14
Ridotto € 12
Abbonam. Musei Lombardia € 10
Ridotto speciale € 6
Biglietto Famiglia: 1 o 2 adulti € 10 / ragazzi dai 6 ai 14 anni € 6
Audioguida inclusa.
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Info e prenotazioni
Prenotazione Gruppi e Infoline
02 892 9921