Oggi è sempre Dostoevskij
Al teatro Menotti di Milano è andata in scena un'opera liberamente ispirata al celebre racconto Le notti bianche dello scrittore russo

“Era una notte meravigliosa. Una di quelle notti che possono esistere solo quando siamo giovani. Il cielo era così pieno di stelle, così luminoso che a guardarlo veniva da chiedersi: è mai possibile che vi sia sotto questo cielo gente così piena di collera e rabbia?”.
Quelle notti in cui il cielo non si spegne mai, il sole resta in bilico sull’orizzonte. Quelle notti in cui Fëdor Dostoevskij ha ambientato le sue Notti Bianche, uno dei più celebri racconti giovanili dello scrittore russo, edito nel 1848, ambientato in una Pietroburgo notturna lungo canali deserti che emergono nella luminescenza ininterrotta. Quattro notti, brevi ma al tempo stesso infinite, che fanno nascere una storia d’amore onirica fra due sconosciuti. Un timido e giovane sognatore che coltiva una solitudine ostinata, lontana da ogni realtà, prigioniero del suo mondo di fantasie, che vaga nel corso di una passeggiata notturna per le vie di Pietroburgo, sospeso tra i propri pensieri e i suoi indefiniti sogni e una fanciulla appoggiata alla balaustra di uno dei ponti sulla Neva che pare pensierosa, fissa le acque sottostanti con lo sguardo vacuo e il viso fra le mani. E l’amore divampa fino ad incendiargli l’anima. In un dialogo che dura quattro notti, durante le quali gradualmente appare il sogno di una vita insieme.
E’ uno straordinario racconto, una storia d’altri tempi (Luchino Visconti ne realizzò una trasposizione cinematografica, con Marcello Mastroianni). Ad affrontare la sfida e portarlo in scena al teatro Menotti di Milano, è la compagnia Slowmachine di Belluno (guidata da Rajeev Badhan ed Elena Strada, lavora sulla contaminazione delle arti, in particolare di teatro e video; ha trasformato un grande tunnel in lamiera e cemento abbandonato alla periferia di Belluno, uno spazio dismesso all’interno dell’ex caserma, in uno spazio teatrale Hangar numero 11). Ideazione, regia e video sono di Rajeev mentre la drammaturgia è firmata da Elena Strada.
Lo spettacolo Notti, liberamente ispirato al celebre racconto Le notti bianche di Dostoevski,j ruota attorno alla domanda “Che cos’è l’amore?” Può la liquidità della nostra epoca influire anche su quell’assoluto e fragile sentimento chiamato amore, fatto di sogni e disillusioni, paure e slanci ottimistici?
Rajeev Badhann (classe 1983, nato a Feltre di Belluno, madre bellunese, padre indiano) mette in scena una narrazione che si sdoppia, crea parallelismi, seconde dimensioni, labirinti, mette in dialogo teatro, video, video live. Era un bell’azzardo, diciamolo subito. Il regista osa più di una libertà. E confesso di aver nutrito qualche dubbio nella prima parte della messa in scena, ma via via che Notti si articolava sul palcoscenico, ne ho apprezzato l’intento di dialogare con il testo originale (meraviglioso) dello scrittore russo e insieme lo sforzo di “offrirlo” al pubblico più giovane. C’è qualcosa di poetico e struggente nella seconda parte ((la più intensa) in questo spettacolo dalla forte tensione visionaria, che ci ha emozionato e coinvolto.
Sul palcoscenico, il soggiorno di una giovane coppia (impersonata da Elena Strada e Alberto Baragini) con divano, cucina a vista, tavolo da pranzo. I due si alternano ai fornelli e ad apparecchiare, in attesa di un ospite per parlare della messa in scena del celebre racconto di Dostoevskij. Si avverte tensione fra la coppia. Nel tempo in cui si cuoce un risotto, i tre teatranti discutono dell’attualità dell’opera letteraria (“Ma questo testo è impossibile da rappresentare!”, dice uno di loro), facendo affiorare nuove domande sull’amore nella liquidità dell’oggi. Un testo all’interno del quale i personaggi stessi si immergono e si perdono, mentre l’iniziale convivialità lascia presto il posto agli attriti prodotti dalla gelosia del compagno verso la sua compagna che sembra in perfetta armonia con l’altro attore (interpretato da Ruggero Franceschini).
Sulla scena poi cala il buio e passano spezzoni di interviste video di ragazzi che cercano di dare una loro definizione d’amore, e che dissolvono le sagome degli attori. Alcuni sono impacciati, altri hanno l’aria di divertirsi e di scherzare sulla cosa, altri dicono banalità.
Il plauso speciale va al recitativo della scena finale perfettamente fedele al testo di concentrata poeticità di Dostoevskij. Dove risalta potente la splendida figura del sognatore. Il Sognatore non ha identità, di lui non sappiamo nulla, nemmeno il nome, ma non è necessario (o è proprio questo il motivo): un po’ di lui è in ciascuno di noi.
Franceschini, è bravissimo a dare un volto e una fisicità al sognatore, percorso da una lievità che incanta lo spettatore e ci fa provare un’infinita tenerezza per questo giovane uomo così timido e gentile , solitario e di questo amore (che aspettava da una vita intera) che sembra sognato o un sogno che prende i connotati della realtà. E di colpo, senza spiegazioni, per lui arriva la gioia. Uno stato d’animo di pura felicità. “Un intero attimo di beatitudine! È forse poco, anche se resta il solo in tutta la vita di un uomo?”, è la battuta conclusiva del del racconto. Un racconto emozionante, che fa vibrare, ci si commuove Portandoci a riflettere sulla solitudine che oggi proviamo noi, trincerati dietro agli schermi di computer o telefonini. Su quel muro che spesso, per paura, alziamo quando ci troviamo di fronte a qualcuno che può essere in grado di abbatterlo. Già, probabilmente perché, di fronte all’amore, sentimento ineffabile, così difficile da definire a parole che può travolgerci con grande forza, ci sentiamo spesso vulnerabili. Eppure quando irrompe in noi è la sola cosa che ci fa sentire per davvero vivi.
Ho avuto la fortuna di vedere lo spettacolo per tre volte, compresa una nell’Hangar citato dalla recensione e mi ritrovo pienamente nelle parole di Cristina, proprio perché con il tempo ( prima, durante e dopo la pandemia) l’opera pare sedimentata in un trascinamento sull’amore, la solitudine e il cielo, in una sorta di contatto iperuranico che ho provato solo nell’innamoramento.