Resilienza fa rima con esistenza

“Abbiamo a che fare con un organismo che è sempre motivato, è sempre intento a qualcosa, che cerca sempre qualcosa. La mia opinione è che c’è nell’organismo umano, una sorgente centrale di energia e che tale sorgente è funzione di tutto l’organismo, non solo di una sua parte. Il modo migliore per esprimerla con un concetto è di definirla tendenza al completamento, all’attualizzazione, alla conservazione e al miglioramento dell’organismo”.
Carl Rogers, 1978
Se, come dice Uliano Lucas, “il fotogiornalismo non è facile da sperimentare per giovani fotografi, in una realtà editoriale, sempre meno propensa a raccontare per immagini, scenari drammatici”, la mostra di Marco Gualazzini ci ricorda che il fotogiornalismo è ancora possibile. Il titolo della mostra, “Resilienza”, è per la psicologia umanistica di Carl Rogers, la capacità che ha un individuo di accettare il cambiamento anche traumatico nella propria vita e di generare fattori biologici, psicologici e sociali che gli permettano di resistere, adattarsi e rafforzarsi, anche in situazioni di rischio, generando un nuovo risultato individuale, sociale e morale tendente sempre alla positività e all’accettazione anche se drammatica. Marco Gualazzini lo spiega bene nelle sue foto che illustrano una quotidianità fatta di accettazione della fatica e del dolore, ma pur sempre permeata di vita.
Il suo lavoro è stato raccolto nel libro Resilient edito da Contrasto, dedicato ai reportage che ha scattato tra il 2009 e il 2018. La mostra curata da Alessandra Mauro, ripercorre i viaggi che il giovane reporter ha documentato attraverso il Congo, il Mali, l’Uganda, il Sudan, la Somalia, il Ciad. Le foto ci raccontano quella capacità di “resilienza” che le popolazioni dell’Africa continuano a sperimentare nel loro cambiamento e resistenza agli eventi traumatici della loro esistenza. Le immagini in mostra sono il frutto di un lavoro di quasi dieci anni alla ricerca di storie inedite: il Congo, piegato dalle credenze popolari e dal rapporto tra religione e stregoneria, il Mali tormentato dalla guerra e dalle infiltrazioni islamiste nell’Africa subsahariana, la Somalia, uno dei paesi più pericolosi e meno accessibili per giornalisti.
Marco Gualazzini, classe ‘76, ha iniziato la sua carriera come fotografo nel 2004 per il quotidiano locale della sua città, la Gazzetta di Parma. I suoi lavori sono stati pubblicati con ampio spazio, su riviste nazionali e internazionali. Il fotografo, come ama definirsi, racconta: “Mi sono avvicinato al fotogiornalismo nella metà degli anni Novanta. Erano gli anni del genocidio in Ruanda e i miei fotografi di riferimento, James Nachtwey e Gilles Peress, stavano raccontando gli effetti di quel conflitto”.
Nel suo ultimo viaggio, Gualazzini ha testimoniato la grave crisi umanitaria lungo il bacino del Ciad, dovuta alla desertificazione come conseguenza del cambiamento climatico.
Il suo occhio fotografico e la tecnica con cui esegue le sue foto sono la testimonianza non solo degli eventi drammatici in sé ma anche di una capacità compositiva molto accurata: uno sguardo attento ai particolari, un modo anche estetico di intendere la notizia. Non sceglie il bianco e nero ma il colore perché sostiene “la realtà è a colori”. Non è lo scatto rubato, ma quello di chi riflette dietro all’obbiettivo. Quasi a testimoniare che qui il tempo si è fermato e la resilienza è una necessità perché la speranza è una sensazione difficile da considerare.
Se è vero che la tendenza dell’uomo, come dice Carl Rogers, psicoterapeuta e padre della psicologia umanistica è quella di tendere per un individuo verso l’accettazione incondizionata e positiva, la resilienza ne corona il significato. Solo in questo modo, dice Rogers, possiamo accettare il cambiamento. Un messaggio,” la resilienza”, adatto a tutti e sopratutto alla nostra realtà quotidiana in continuo cambiamento.
Resilient di Marco Gualazzini
FORMA MERAVIGLI
Via Meravigli, 5
Fino al 24 marzo 2019
Da mercoledì a domenica
dalle ore 11.00 alle ore 20.00
lunedì/martedì chiuso
Ingresso gratuito